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DOMENICA 1 NOVEMBRE 2020 – SOLENNITA’ di TUTTI I SANTI
INCONTRO DELL’ARCICONFRATERNITA DI S. ANTONIO
Preghiamo il Salmo 16 – Il Signore è l’unico vero bene
Il salmista esprime la sua fede in Dio, anche di fronte alle difficoltà. Si guarda bene dal cadere nell’idolatria e apprezza e stima la testimonianza di vita e di fede data dai “santi” che conosce in terra. Nell’interpretazione cristiana del Salmo guardiamo anche ai Santi che sono nei cieli perché hanno dimostrato la loro santità quaggiù in terra e ci sono di esempio e aiuto nella nostra via di santità (“il sentiero della vita”).
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto a Dio: «Sei tu il mio Signore,
senza di te non ho alcun bene».
Per i santi, che sono sulla terra,
uomini nobili, è tutto il mio amore.
Si affrettino altri a costruire idoli:
io non spanderò le loro libazioni di sangue
né pronunzierò con le mie labbra i loro nomi.
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Per me la sorte è caduta su luoghi deliziosi,
è magnifica la mia eredità.
Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio cuore mi istruisce.
Io pongo sempre innanzi a me il Signore,
sta alla mia destra, non posso vacillare.
Di questo gioisce il mio cuore,
esulta la mia anima;
anche il mio corpo riposa al sicuro,
perché non abbandonerai la mia vita nel sepol- cro,
né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.
Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena nella tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.
Dal Vangelo secondo Matteo (5,43-48) - «Siate perfetti…»
Al termine del capitolo 5 di Matteo, che si apre con le Beatitudini, troviamo una serie di precisazioni che contestualizzano il testo “un po’ utopico” delle Beatitudini in un percorso vero di fede e vita in Dio. Gesù propone con coerenza diversi “di più” di coerenza e vita indicando come paragone non la perfezione degli uomini, ma quella (nell’amore!) “del Padre vostro celeste”.
In quel tempo Gesù disse: “Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.
S. Giovanni Paolo II – Udienza generale, mercoledì 18 dicembre 1985
Il testo da approfondire sul tema della santità è certamente l’esortazione apostolica di papa Francesco “GAUDETE ET EXSULTATE. Sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo” che potrà essere una buona lettura o ri-lettura per il mese di novembre. Qui vogliamo ricordare una bella catechesi del 1985 di papa Giovanni Paolo II, ora santo.
1. Nella scorsa catechesi abbiamo riflettuto sulla santità di Dio e sulle due caratteristiche - l’inaccessibilità e la condiscendenza - che la distinguono. Ora vogliamo metterci in ascolto dell’esortazione che Dio rivolge all’intera comunità dei figli di Israele attraverso le varie fasi dell’antica alleanza:
“Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2); “Io sono il Signore che vi vuole fare santi” (Lv 20, 8).
Il Nuovo Testamento, nel quale Dio svela fino in fondo il significato della sua santità, accoglie in pieno questa esortazione, conferendole caratteristiche proprie, in sintonia col “fatto nuovo” della croce di Cristo. Infatti Dio, che “è Amore”, ha rivelato pienamente sé stesso nella donazione senza riserve del Calvario. Anche nel nuovo contesto, tuttavia, l’insegnamento apostolico ripropone con forza l’esortazione ereditata dall’antica alleanza. Scrive per esempio San Pietro: “...a immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta; poiché sta scritto: «Voi sarete santi, perché io sono santo»” (1Pt 1,15).
2. Che cosa è la santità di Dio? Essa è assoluta “separazione” da ogni male morale, esclusione e radicale rifiuto del peccato e, nello stesso tempo, bontà assoluta. In virtù di essa Dio, infinitamente buono in sé stesso, lo è anche nei riguardi delle creature (“bonum diffusivum sui”), naturalmente secondo la misura della loro “capacità” ontica. In questo senso è da intendere la risposta data da Cristo al giovane del Vangelo: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo” (Mc 10,18).
È già stata ricordata nelle catechesi precedenti la parola del Vangelo: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). L’esortazione, che si riferisce alla perfezione di Dio nel senso morale, cioè alla sua santità, esprime dunque lo stesso concetto contenuto nelle parole dell’Antico Testamento sopra citate, e riprese nella Prima Lettera di San Pietro. La perfezione morale consiste nell’esclusione del peccato e nella assoluta affermazione del bene morale. Per gli uomini, per le creature razionali, una tale affermazione si traduce nella conformità della volontà con la legge morale, Dio è santo in se stesso, è la santità sostanziale, perché la sua volontà si identifica con la legge morale. Questa legge esiste in Dio stesso come nella sua eterna fonte e, perciò, si chiama Legge Eterna (“Lex Aeterna”) (cf. S. Tommaso, Summa theologiae, I-II, q. 93, a. 1).
3. Dio si fa conoscere all’uomo come fonte della legge morale e, in questo senso, come la Santità stessa, prima del peccato originale con i progenitori (Gen 2,16), e più tardi con il popolo eletto, soprattutto nell’alleanza del Sinai (cf. Es 20,1-20). La legge morale rivelata da Dio nell’antica alleanza e, soprattutto, nell’insegnamento evangelico di Cristo, mira a dimostrare gradualmente ma chiaramente la sostanziale superiorità e importanza dell’amore. Il comandamento: “amerai” (Dt 6,5; Lv 19,18; Mc 12,30-31) fa scoprire che anche la santità di Dio consiste nell’amore. Tutto ciò che è stato detto nella catechesi intitolata “Dio è amore”, si riferisce alla santità del Dio della rivelazione.
4. Dio è la santità perché è amore (1Gv 4,16). Mediante l’amore è separato assolutamente dal male morale, dal peccato, ed è essenzialmente, assolutamente e trascendentalmente identificato col bene morale nella sua fonte, che è lui stesso. Amore infatti significa proprio questo: volere il bene, aderire al bene. Da questa eterna volontà del Bene scaturisce l’infinita bontà di Dio nei riguardi delle creature e, in particolare, nei riguardi dell’uomo. Dall’amore trae origine la sua clemenza, la sua disponibilità ad elargire e a perdonare, la quale tra l’altro ha trovato un’espressione magnifica nella parabola di Gesù sul figlio prodigo, riportata da Luca (cf. Lc 15,11-32). L’amore si esprime nella Provvidenza, con la quale Dio continua e sostiene l’opera della creazione.
In modo particolare l’amore si esprime nell’opera della redenzione e della giustificazione dell’uomo al quale Dio offre la propria giustizia nel mistero della croce di Cristo, come dice con chiarezza San Paolo (cf. Rm e Gal). Così dunque l’amore, che è l’elemento essenziale e decisivo della santità di Dio, attraverso la redenzione e la giustificazione, guida l’uomo alla sua santificazione con la potenza dello Spirito Santo.
In questo modo nell’economia della salvezza Dio stesso, come trinitaria Santità (tre volte santo), si assume in un certo senso l’iniziativa di realizzare per noi e in noi ciò che ha espresso con le parole: “Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2).
5. A questo Dio, che è Santità perché è amore, l’uomo si rivolge con la più profonda fiducia. A lui affida tutto l’intimo mistero della sua umanità, tutto il mistero del suo “cuore” umano: “Ti amo, Signore, mia forza, / Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; / mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo, / mio scudo e baluardo, mia potente salvezza…” (Sal 18,2-3). La salvezza dell’uomo è strettissimamente legata alla santità di Dio, poiché dipende dal suo eterno, infinito Amore.
Dagli Scritti di san Francesco d’Assisi e sant’Antonio di Padova
«L’IMITAZIONE DEL SIGNORE - Guardiamo con attenzione, fratelli tutti, il buon pastore, che per salvare le sue pecore sostenne la passione della croce. Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e nella persecuzione, nella vergogna e nella fame, nell’infermità e nella tentazione e in altre simili cose, e per questo hanno ricevuto dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi, servi di Dio, che i santi hanno compiuto le opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il solo raccontarle». (s. Francesco, Ammonizioni, VI)
«Sappiamo bene infatti che, per vincere il peccato in ogni sua manifestazione, è stata conferita una grazia maggiore a Colei che meritò di concepire e di generare Colui che era senza peccato. E se potessimo riunire tutti i santi e tutte le sante, e domandassimo loro se hanno commesso dei peccati, tutti, ad eccezione della santa Vergine Maria, non potrebbero che rispondere con le parole di Giovanni: “Se dicessimo che non abbiamo peccato, inganneremmo noi stessi e non ci sarebbe in noi la verità” (1Gv 1,8). La Vergine gloriosa infatti fu prevenuta e colmata con una grazia singolare, per poter avere come frutto del suo grembo proprio colui che fin dall’inizio credette e adorò quale Signore dell’universo» (S. Antonio, Sermone in Lode alla beata Vergine Maria, 2).
«Il filo a piombo, o piombino, è strumento del muratore, detto in lat. perpendiculum da perpendo, controllare, verificare. È formato da un piombo, o da una pietra legata ad un filo, e con esso si controlla la perpendicolarità delle pareti. L’esempio dei santi è come un filo a piombo che viene teso su Gerusalemme, vale a dire su ogni anima fedele, affinché misuri e conformi la sua vita sull’esempio della loro. Ogni volta che si celebrano le feste dei santi, viene teso questo filo a piombo sulla vita dei peccatori; e quindi celebriamo le feste dei santi per avere dalla loro vita una regola per la nostra. È assurdo perciò, è una presa in giro, nelle solennità dei santi volerli onorare con i cibi, con grandi mangiate, quando sappiamo che essi sono saliti al cielo con i digiuni. Amando il mondo e la sua gloria, curando il corpo con i suoi piaceri e accumulando denaro non imitiamo certo la vita dei santi: perciò la loro giustizia (santità) sarà la prova delle nostre colpe». (S. Antonio, Sermone Domenica IV dopo Pasqua, 11).